Un documento di visione strategica, nato dall’incontro fra Dynamoscopio, Avanzi, Kilowatt e SuMisura, quattro realtà italiane implicate in progetti e riflessioni intorno alla rigenerazione urbana e all’innovazione sociale.
Un esperimento in corso, che potrà arricchirsi con i contributi, le esperienze e le osservazioni di innovatori, reti di cittadinanza, P.A., policy-maker e policy-activist.
Per mettere alla prova se Community Hub è in grado di nominare un cambiamento in atto e con esso le nuove esperienze sociali che andiamo inseguendo.
Il presente documento è a cura di un gruppo di ricercatori, progettisti di politiche, policy activist, innovatori, che da tempo lavora sul tema della rigenerazione urbana. Lavoriamo a Bologna (Kilowatt), Milano (Avanzi – Sostenibilità per Azioni, Dynamoscopio), Torino (SuMisura). Nelle nostre esperienze, ci siamo confrontati su come affrontare le criticità dei quartieri difficili, promuovere inclusione e coesione sociale, invertire il declino, intercettare l’intelligenza collettiva.
Abbiamo attraversato differenti dimensioni di intervento: abbiamo fatto ricerca e progetti per istituzioni pubbliche, valutazione di politiche, accompagnamento di processi, capacitazione di attori. Non ci siamo fermati. Abbiamo pensato fosse necessario arrivare a fare in prima persona. È qui che abbiamo incontrato gli spazi a servizio della rigenerazione urbana, che ci spingono verso la sperimentazione di modi nuovi di pensare e abitare la città.
Qui proviamo a metterli a tema, definendoli Community Hub.
Il documento nasce dalla volontà di condividere e confrontarci sulle esperienze che ci siamo fatti sul campo per rilanciare un ragionamento trasversale sulle pratiche e sulle politiche urbane.
Pensiamo sia utile lavorarci a più mani, tra tutti quelli che hanno fatto un percorso simile al nostro o sono anche solo all’inizio. La comunità di pratiche attiva su questo campo è variegata e sta crescendo. Ha bisogno di una piattaforma di discussione e una tematizzazione operativa delle proprie pratiche.
Noi vorremmo fornire entrambe: due iniziative di confronto (il 16 maggio a Bologna e il 24 maggio a Milano); un documento istruttorio, da integrare e commentare.
A valle degli appuntamenti di Bologna e Milano, e sulla base dei contributi che riceveremo su questo draft, giungeremo alla redazione di un documento finale, che restituirà il percorso di approfondimento che avremo fatto insieme. Confidiamo possa essere un policy paper utile alle agende politiche locali, da offrire a istituzioni, abilitatori, esperti, policy maker.
Le politiche di rigenerazione urbana nascono dal riconoscimento di pratiche, attori, sistemi di opportunità, risorse disponibili, in un campo locale, e dalla loro combinazione. Intercettano e valorizzano le forme dell’innovazione sociale. Quelle che ci interessano, ai fini del presente documento, sono quelle che per la loro impostazione e il loro sviluppo seguono un approccio di co-creazione, che coinvolge attori diversi lungo l’intero processo decisionale: dalla fase della progettazione a quella dell’implementazione, a quella della valutazione.
Non sono più prodotte da programmi straordinari, ma dal sostegno ad azioni ordinarie (anche laddove dovessero beneficiare di risorse addizionali provenienti ad esempio dalla programmazione comunitaria).
Questa prospettiva richiama la necessità di dotarsi di strutture di presidio locale dei processi rigenerazione. Nascono così spazi e strutture di servizio che ospitano informazione ed erogazione di servizi di welfare pubblico, insieme ad attività ad elevato impatto sociale. Sono strutture a servizio della comunità. Sono spazi ibridi, di difficile definizione: fanno inclusione sociale e allevano talenti, generano coesione attraverso la contaminazione. Sono punto di accesso ai servizi di welfare e orientano verso la creazione di impresa. Sono spazi di produzione e di lavoro, che fanno convivere l’artigiano e la postazione per il giovane creativo, la start-up e la cooperativa sociale, il coworking, il fab-lab e l’asilo; la caffetteria e la web radio. Provano a contrastare l’esclusione, generando lavoro. Credono nei talenti, prima che nelle competenze. Accompagnano processi e ne sono protagonisti. Abilitano e sono i makers della rigenerazione urbana. Sono il consolidamento di comunità in corso.
Riconoscerli può permettere di migliorare le politiche pubbliche.
E politiche pubbliche intelligenti possono aiutarli e migliorare la città.
Proviamo a definirli Community Hub, perché il termine è evocativo del dispositivo che innesca il movimento, dando così del termine comunità una accezione tutta processuale, come una tensione progettuale.
L’elemento interessante è che in un tempo di contrazione delle risorse, di sfiducia verso i campi della politica e di erosione dei legami sociali, il Community Hub segna un orizzonte di trasformazione nei modi tradizionali di pensare e abitare la città, mentre ibrida fra loro almeno due ambiti cruciali per le politiche delle nostre città: lo sviluppo locale e la rigenerazione urbana.
Assumendo un punto di vista diverso sui temi dello sviluppo urbano, i Community Hub, come li intendiamo in questo documento, mettono anzitutto al centro la relazione persone-comunità. Qui desideri, bisogni e competenze di ciascuno possono emergere, incontrarsi e aggregarsi, dando vita a nuovi legami e appartenenze sociali a vocazione locale. Attraverso la relazione e il riconoscimento reciproco, si moltiplicano le occasioni di scambio, si intrecciano pratiche di prossimità, si socializzano immaginari di futuro: le persone divengono risorsa per i gruppi e le reti di prossimità e, viceversa, i vicinati e le comunità di affinità diventano palestre di capacitazione per le persone.
Community Hub apre uno spazio simbolico di elaborazione di istanze collettive, capaci di produrre e orientare le opzioni di cambiamento locale. Le comunità si ingaggiano come committenza e motore di processi inclusivi di sviluppo territoriale, a forte base sociale, incardinato sulle agency dei loro membri. Le comunità possono essere di pratica e/o territoriali, ma sono comunità reali, caratterizzate da interazione e costruzione di forme di prossimità nello spazio e nel tempo. Tramite un approccio a propagazione, i Community Hub fanno così dello sviluppo locale un processo di sviluppo di comunità, basato su pluralità, coproduzione, circolazione e redistribuzione di valore percepito a più livelli. Ponendosi in continuità con i mutamenti già in corso nelle nostre società urbane, dimostrano di avere uno sguardo aderente alle dinamiche micro-locali andando oltre quindi il solo sviluppo locale.
Rivisitando in chiave innovativa temi ed esperienze di rigenerazione urbana, il Community Hub mette contemporaneamente al centro la relazione comunità-spazi. Abitanti e abitato, immaginari e funzioni, pratiche e architetture entrano in reciproca risonanza, si corrispondono in una visione ecologica di risignificazione dell’urbano. Qui l’abitare esprime anche intento, cura, inventiva e responsabilità sociale, in una convivenza intelligente fra spazi pubblici e privati, edifici e luoghi aperti, arredi e funzionalità. Community Hub può quindi generare, secondo la nostra visione, processi aperti e multidimensionali di trasformazione, rivitalizzazione e riuso degli spazi della città, siano essi grandi strutture o articolazioni diffuse, a base sociale, culturale e creativa.
Community Hub si rivela così un nuovo strumento di rigenerazione urbana perché a regia collettiva, con cui gruppi, vicinati e comunità locali si attivano e plasmano i propri ambienti di vita, stabilendo legami di affezione, riconoscimento, appropriazione e manutenzione dei luoghi.
Il campo di tensione di Community Hub è quindi, per noi, la relazione persone-comunità-spazi. Questo è il suo punto di avvio, ossia uno spazio sociale nel mondo reale, da cui ripartiamo per abitare una casa chiamata città.
I Community Hub che noi vediamo nascere sul territorio si pongono l’obiettivo di generare ‘welfare locale partecipato’, come esito ad impatto plurimo di un processo di sviluppo di comunità, in cui la comunità si abilita ad aggregare variabilmente domanda sociale e risorse per rispondervi, strutturandosi progressivamente come esperienza di innovazione sociale a committenza locale.
Seguite le tracce per individuarli, i Community Hub che stanno nascendo sul territorio vanno guardati da vicino, per cogliere quei movimenti, quelle vibrazioni che fanno la differenza nel successo e nell’ampiezza del beneficio generato.
In primo luogo, i Community Hub lavorano con strumenti specifici: quelli della coprogettazione, e quelli che privilegiano gli approcci relazionali nel lavoro di gruppo; mentre le competenze sono quelle del community organizing e della gestione di processi decisionali e organizzativi collaborativi.
Avere gli strumenti e le competenze per presidiare queste dinamiche è un elemento necessario per la realizzazione del progetto, perché i Community Hub sono prima di tutto relazioni. Devono avere la capacità, seguendo un processo di co-creazione, di aggregare interessi, far emergere bisogni, creare condizioni di azione, generare empowerment.
La posta in gioco è la responsabilizzazione, nell’accezione di cura del bene pubblico e della comunità. Anche la responsabilizzazione ha degli strumenti, e sono quelli dell’accountability, della rendicontazione di impatto, della trasparenza, riletti e rivisitati grazie alle tecniche di storytelling, di attivazione e coinvolgimento. Questo è ciò che rende equilibrati e possibili i ruoli del pubblico e del privato rispetto alla costituzione e all’emersione di un Community Hub.
Altro elemento evidente in un Community Hub è lo spazio: spazio aggregante, identitario, spesso con una storia che viene riportata alla luce e valorizzata secondo i bisogni contemporanei. Fermarsi allo spazio però sarebbe un errore, e fermarsi alla concessione di uno spazio può essere un problema. Lo spazio è necessario ma non sufficiente. Lo spazio è centro di gravità solo se esiste un allineamento con i tempi e gli strumenti. Gli strumenti li abbiamo già identificati sopra, i tempi invece sono spesso variabile esogena, sono i tempi pubblici di concessione o di autorizzazione o di riconoscimento. Il tenere insieme questi tempi con quelli delle attività, del coinvolgimento, dell’emersione di bisogni e quindi del generarsi di aspettative è la vera sfida, spesso taciuta. Se i Community Hub sono relazioni, le relazioni si basano sulla fiducia, sul mantenere le aspettative, sulla quotidianità dei gesti. Su questo le politiche pubbliche e l’amministrazione pubblica possono fare la differenza.
Lo spazio quindi racchiude gesti, incontri, attività, bisogni e servizi che rispondo ai bisogni. E’ fondamentale quindi pensarlo (e progettarlo) come luogo multidisciplinare, multiservizio, vivo durante tutto il giorno (e la notte).
Ciò che mette insieme questi pilastri fondanti, le dinamiche di community organizing e lo spazio, è l’aspirazione all’ibridazione, l’aspirazione alla contaminazione: i Community Hub sono infatti ponti tra mondi, sono soggetti aggregatori e questo conferisce loro quella spinta innovativa, dinamica, vitale che li rende scintille di sviluppo locale. Essi esprimono la visione di un ‘ecotono urbano’, un terreno di transizione fra logiche sociali e coerenze culturali di diversa provenienza, tra pubblico e privato, tra istituzionale e sociale.
Ma perché questa indole venga valorizzata al massimo, noi osserviamo come sia necessario che anche la governance sia coerente. Assistiamo infatti alla nascita di soggetti ibridi, con governance allargate ed inclusive che superano la dualità pubblico-privato per includere altri attori del territorio e soprattutto i cittadini, che si dotano di strumenti più commerciali per raggiungere i fini pubblici che si sono prefissati (nel senso di publicness, di interesse pubblico) che poi blindano all’interno di strutture cooperative o associative. Si tratta in definitiva di ‘filiera mista’, che nasconde un’attitudine reticolare e multidimensionale alla coproduzione di valore locale (attori, competenze, bisogni, risorse, spazi, ecc.) e di redistribuzione del valore a più livelli (sociale, culturale, economico, commerciale, ecc.).
La cross-fertilization che ne deriva è insieme visione e strumento di gestione. Richiede infatti una progettazione attenta delle attività e dei contenuti, confini permeabili all’entrata e uscita di nuovi soggetti, processi decisionali inclusivi e leadership situazionali, secondo un l’approccio delle organizzazioni bossless.
1. Un terreno di policy-making
Community Hub apre alla sperimentazione di una visione non compartimentata dell’urbano, rivelandosi anche un terreno inedito di policy-making e di innovazione istituzionale. Luoghi plurali, versatili e interdisciplinari per esperienze, attori, visioni, bisogni, vocazioni, saperi e impatti territoriali, riconosciamo ai Community Hub la capacità di convocare simultaneamente l’attenzione delle politiche urbane, di quelle sociali, di quelle culturali, di quelle economiche e persino turistiche: spazio, formazione, lavoro, servizi, produzione culturale, inclusione, economie, creatività, commercio. Un cantiere di prova e sperimentazione anche per il policy-maker.
2. Una opzione per le periferie
Community Hub si presta a riconoscere, attivare e portare a valore per i cittadini in particolare quelle aree caratterizzate da ‘vuoti’ urbani, marginalità sociali, terrain vagues e disagio abitativo e sociale. Che siano periferie geografiche o nicchie periferiche disseminate nella città, Community Hub è in grado di trattare simultaneamente la presenza di spazi degradati o in abbandono e la stratificazione sociale, economica e culturale di bisogni, fragilità, desideri, competenze e prospettive che si esprimono ricorsivamente, ma non trovano risposte sistemiche. Diseguaglianze sociali, discomfort abitativo e diversità culturali sono fattori che in periferia trovano una densità maggiore, tale da costituire un’arena di frizione e, allo stesso tempo, un cantiere di creatività sociale. Community Hub è dunque anche una opzione concreta per inserire le periferie fra le priorità dell’agenda urbana.
3. Un campo di innovazione sociale e culturale
Community Hub risponde all’esigenza di costruire nuove ‘ecologie locali’, capaci di produrre sintesi dinamiche fra pratiche di cambiamento che si generano spontaneamente in società e istanze di pianificazione e programmazione del cambiamento orientate dalle politiche. L’innovazione sociale e culturale sono elementi abilitanti e contemporaneamente cerniera chiave fra queste due componenti, i rispettivi saperi e attori. Come specifico ambito di design di processi sociali e culturali che si pone in continuità, senza sostituirvisi, con i processi spontanei in corso dal basso, l’innovazione dispone di visioni, strumenti e metodologie sufficientemente diversificate per accompagnare, amalgamare e sostenere il passaggio che sta al cuore di un Community Hub: da una disseminazione di svariate (spesso micro) esperienze di creatività sociale a nuovi modelli sostenibili di sviluppo socio-urbano, al contempo sostenuti dal basso e abilitati dalle pubbliche amministrazioni.
I Community Hub sono oggetto di politiche. Come tali pongono questioni relative al loro disegno e alla loro implementazione. Non abbiamo risposte e le poniamo alla discussione.
1. I Community Hub presuppongono politiche pubbliche intelligenti, quelle che chiedono alla società di fare, che ne accrescono l’autonomia e la responsabilizzazione, che sollecitano sperimentazioni diffuse e ridefiniscono il ruolo del settore pubblico come abilitatore.
Come fare a sostenerle? Con riferimento alle esperienze amministrative più avanzate (pensiamo a Torino con le Case di Quartiere o ai Patti di collaborazione a Bologna), forse la creazione di strumenti di interlocuzione diretti e veloci tra l’Amministrazione e “chi fa”, che spingano all’azione e ne rispettino i tempi necessari, può essere un modello estendibile? L’individuazione di deleghe precise, non solo politiche ma anche dell’apparato tecnico, e una responsabilizzazione sui risultati, in linea con una visione della PA come “piattaforma abilitante”, potrebbe essere una soluzione?
2. Il disegno di dispositivi del tipo Community Hub presuppone un taglio drastico rispetto alla consueta organizzazione “a silos” della pubblica amministrazione.
Quale genere di ridisegno istituzionale è immaginabile per rendere la rigenerazione, le periferie e i Community Hub un tema trasversale ai vari comparti delle politiche? Ciò ha a che fare sia con il ridisegno della strutture amministrative (un “ufficio speciale rigenerazione” trasversale tra più settori del Comune? Quali potrebbero essere gli interlocutori più adatti a fare sintesi delle dimensioni e dei livelli che esso chiama in causa?), sia con il possibile ridisegno istituzionale (come impatta la prospettiva dei Community Hub sul decentramento amministrativo? un approccio di questo genere rafforza o sostituisce alcune prerogative delle zone di decentramento?).
3. Il confine tra pubblico e privato nella prospettiva dei Community Hub è messo in tensione. Sono promossi da attori ibridi, che si fanno attori di politiche urbane, poiché mettono a valore (pubblico) la capacità di produrre e gestire nuove connessioni. Sono agenti del cambiamento, che operano nella sfera pubblica (incontrando qui la pubblica amministrazione), ma essendo privati (dall’associazione all’impresa sociale). Erogano servizi commerciali e di inclusione sociale. Non ci sembra sia una tensione da sciogliere, ma una sperimentazione da alimentare. La questione è come renderla sostenibile.
Quali sono i dispositivi per sostenere innovazioni di questa natura da parte della politiche pubbliche? Oneri e fisco più leggeri? Minore rigidità nella definizione delle destinazioni d’uso? O una previsione esplicita nelle convenzioni, in modo che questo elemento sia un valore e non un compromesso? Forme di public procurement su base locale che valorizzino queste esperienze? Il finanziamento di meccanismi di coaching verso le nuove realtà fatto da chi ha già percorso la strada (un forma di “alumni community” di chi ha già realizzato un progetto simile?) Come riconoscere la publicness di un Community Hub? Andrebbe definito un elenco di requisiti? Possono esserci meccanismi premiali?
4. Infine, con riferimento alle risorse, occorre domandarsi come fare a sostenere lo sviluppo dei Community Hub. In un processo costante di contrazione della finanza pubblica, il contributo che può giungere dalla pubblica amministrazione sarà limitato. D’altro canto, quello che può arrivare dalle fondazioni è legato a specifici bandi e progetti.
Possono esserci altri dispositivi? Sembrano una strada promettente sia le ipotesi di fondi per il community development, sia l’idea che i Community Hub possano essere inseriti entro schemi finanziari più complessi (revolving funds per lo sviluppo urbano). Che tipo di opportunità sembrano praticabili a questo riguardo? Che tipo di innovazioni sono auspicabili in questo campo?
Avanzi, Dynamoscopio, Kilowatt, SuMisura
Community Hub. I luoghi puri impazziscono
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Salve a tutti, ho letto del vostro progetto che trovo molto interessante. le domande poste alla fine del documento aprono uno spazio di riflessione su pratiche e sostenibilità condivise che vanno implementante con diversi attori sociali e amministratori locali.
Mi interessa seguirvi ed eventualmente aprire una discussione sulle pratiche e la divulgazione delle stesse.
spero di potervi incontrare presto per discutere insieme anche dei progetti di rigenerazione urbana da noi seguiti come psicologi di comunità.
Riflettendo sul contenuto del documento, sulla nostra esperienza diretta e su quale possa essere il nostro ruolo nel processo intrapreso,crediamo che alla base di tutte le esperienze di community hub ci siano 3 fattori determinanti alla riuscita di un progetto:
– la disponibilità di uno spazio fisico, pubblico o privato che sia;
– la disponibilità di un soggetto proponente (un singolo gestore, una comunità di soggetti, una associazione, o una rete di più soggetti);
– un ente pubblico con una struttura preparata, disponibile e capace di essere soggetto attivo dei processi in gioco.
La nostra proposta è quella di creare un documento operativo pragmatico e chiaro da presentare ai vari ministeri competenti in materia come “allegato” al presente documento così suddiviso:
Parte A)
La creazione di una piattaforma unitaria a livello nazionale, che riunisca tutte le ricerche e i tentativi fatti in Italia per mappare i luoghi vocati all’insediamento di una community hub. Il punto di partenza potrebbe essere un invito rivolto a tutti gli enti pubblici a segnalare i luoghi e gli edifici che potrebbero entrare in questo piano straordinario di rigenerazione. Tutti i luoghi indicati in questa mappa, continuamente aggiornabile ed implementabile anche da parte di associazioni, singoli cittadini o chiunque ritenga di segnalare la presenza di un immobile idoneo, dovrebbero essere soggetti ad una programmazione urbanistica ad hoc che, oltre a studiarne le peculiarità, si incarichi di facilitare tutti i processi attivabili per ridare vita a questi luoghi. Figura chiave in questo processo dovrebbe essere un ufficio interno ad ogni regione con il compito di creare una rete di rapporti fra i soggetti interessati, superare i limiti e potenziare le opportunità di attivazione dei processi di rigenerazione.
Parte B)
Creare un manuale d’uso che contenga chiare indicazioni strumentali e operative per chi vuole attivare, sviluppare o potenziare un progetto di rigenerazione, utile ad attivare un processo virtuoso tra amministrazione e soggetto proponente il community hub. In sostanza indicare quali debbano essere i riferimenti principali interni ed esterni ai comuni in termini di competenza, e come tra di essi debba per forza esserci un dialogo e una comunità di intenti. Per realizzare questo pensiamo ad esempio all’utilizzo di strumenti ancora più snelli ed operativi delle attuali “conferenze di servizi” come base del dialogo fra amministrazione, gestore proponente e tutti i soggetti coinvolti nel processo. Penso anche alla creazione di un ufficio “rigenerazione urbana” costituito da figure professionali e settori trasversali dell’amministrazione.
Questi atti di rigenerazione creano delle comunità di soggetti che beneficiano fortemente in modo diretto ed indiretto degli interventi su aree che un tempo erano un peso per la società e ora ne diventano l’innesto vitale da cui ripartire per ritrovare un vero spirito di comunità.
Sentirsi bene in un luogo, in una comunità ed in una società è qualcosa che agisce a livello profondo, viscerale e genera energia. Ogni persona che vive i benefici di una community hub, che la percepisce e che la fa sua, diventa un agente attivo e si sente spinto da una sorta di istinto rassicurante che da vita e rigenera un luogo, facendo emergere energie dormienti di un luogo e dei suoi stessi nuovi abitanti.
Ciao a tutti e grazie della condivisione del documento, mi spiace non aver partecipato agli incontri e appena avete l’agenda dei prossimi mesi da condividere cerco di farmi presente almeno a uno degli incontri. Mi sembra un avvio significativo e necessario per discutere le politiche e attività che possono rendere possibili questi “spazi-ponte” e con l’esperienza dei progetti svolti ultimamente ad Impact Hub Firenze sono sicuro che avremmo prospettive da condividere. Un punto sul quale stiamo facendo le prime riflessioni scritte è l’aspetto pratico nello sviluppo e mantenimento sostenibile di strutture del genere.
L’esperienza resa possibile in Libano tramite un progetto in partnership con Oxfam e poi messa alla prova a Massa (entrambi coinvolgendo la PA locale) ha fatto emergere diversi spunti su come comunità, spazi e attività scambiano flussi di interessi e informazioni e persino come la progettazione di questi flussi risulta a posteriori in modelli di processi, offerta, finanza e strategia di community building. Cercherei di sfruttare l’occasione del canale che avete giustamente aperto per portare questi due mondi (delle policy e dell’avvio in termini pratici) a braccetto e data la loro complementarietà non li vedo assolutamente staccati.
Le domande che servono di base a questo commento sono: quali sono i principali punti di contatto tra un community hub nato dal basso e la Pubblica Amministrazione, e come sono le interazioni tra loro? In che modo in un contesto può nascere un community hub e come possiamo offrire strumenti di sviluppo sia per la dimensione politica che per quanto riguarda il rapporto con le comunità che lo animano? Come si bilancia l’autonomia delle community che condividono uno spazio e l’intervento delle politiche pubbliche? Tenete presente che Impact Hub Firenze sarebbe molto contento di partecipare a questa discussione! Quali sono i prossimi passi? 🙂
Grazie per l’incontro di ieri a Milano/Avanzi, molto interessante (sono stato molto dispiaciuto di non poterlo seguire fino alla fine). Due aspetti del position paper sui quali vorrei soffermarmi, sulla base della mia esperienza proofessionale, sono il tempo e l’ownership: – il tempo, perché ricreare (dopo le devastazioni degli ultimi decenni…. ) e consolidare reti di relazioni che siano anche sistemi economicamente sostenibili richiede tempo; questo tempo bisogna concederselo (a livello di investimenti, monitoraggio, valutazione d’impatto ecc. ) e ragionare quindi sul medio lungo-periodo; – l’ownership dell’Hub da parte della comunità, perché sebbene condivida la necessità di un “gruppo di gestione” (i “city makers”?) che faccia da coordinamento e traino, l’Hub non può funzionare se la community – di cui l’Hub rappresenta il nodo di rete territoriale – non lo fa e non lo sente proprio; entrano in gioco questioni di accountability e di vera partecipazione. Quindi benissimo, come fa il documento, mettere al centro il tema della responsabilizzazione nella cura degli spazi e dei beni comuni; ma anche della fiducia, come ricorda Mariella Stella nei commenti. Dal mio punto di vista è una questione sia di rigenerazione delle relazioni sia di capacity building, perché strumenti quali la co-progettazione territoriale e il community organizing non possono rimanere appannaggio dei soli “esperti” o dei “tecnici”. Anch’essi – declinati in base al livello di responsabilità e di coinvolgimento delle persone della comnuità – dovrebbero diventare bene comune
Sarebbe importante aprirsi effettivamente ad un confronto in rete e con interazioni effettive sulle tematiche poste anche dal vostro documento. Sono aspetti e questioni espresse anche in altri contesti fra le molte esperienze di rigenerazione urbana, di riuso e di beni e spazi pubblici e non solo, ad opera di comunità locali, di cittadini organizzati e altro ancora….serve condividere e ritrovarsi per sviluppare un cammino collettivo e condiviso, e non,, come a volte avviene, con percorsi paralleli. Organizzazioni, come Cittadinanzattiva onlus e altre organizzazioni ed esperienze, stanno favorendo questa logica di confronto per contribuire ad una politica pubblica italiana di forte rilievo rispetto allo sviluppo del nostro paese e alle capacità di ricostruire legami sociali e capitale sociale concretamente. Pensiamo alla attuazione del’art.24 dello “Sblocca Italia”. D’accordo anche s una grande diversità che sta caratterizzando queste esperienze, anche di collaborazione con le amministrazioni, in Italia. Mandate un segnale !!!!!
Due riflessioni a partire dalla nostra esperienza:
1. Indubbiamente la PA deve dotarsi di competenze interne capaci di portare avanti simili processi. I funzionai, i dirigenti interni e non i consulenti esterni, devono essere formati sul tema ed essere in grado di sviluppare processi di questo tipo. è fondamentale che su questi temi, la PA scenda in strada, incontri le realtà che lavorano su questi temi e i cittadini, costruiscano laboratori nei quartieri. la piattaforma abilitante deve conoscere assolutamente i soggetti da abilitare.
Premesso quanto sopra e considerandolo premessa fondante per qualsiasi altro discorso in merito, la creazione di un ufficio rigenerazione potrebbe essere interessante purchè non resti una nomenclatura innovativa che non poggi su strategie precise e a lungo termine, su politiche chiare in tal senso, costruite anche con la collaborazione dei cittadini o con le organizzazioni intermedie che fanno da ponte con questi ultimi.
2. Rispetto alla premialità, riteniamo che sia fondamentale, ma potrebbe essere interessante anche una nuova individuazione dei requisiti di accesso a tale premialità. Le azioni concrete già sviluppate possono costituire un ottimo banco di prova, il follow up di tali azioni, l’impatto sociale delle azioni portate avanti devono diventare condizioni fondamentali per il riconoscimento dell’efficacia delle azioni portate avanti sul territorio e anche per una premialità economica. Io credo che non sia più tempo di erogare fondi sulla base di progetti cartacei, è fondamentale erogarli sulla base di azioni concrete e risultati.
3. Crediamo inoltre che sia fondamentale porre al centro della relazione tra community hub, cittadini e PA una parola su tutte, FIDUCIA, Occorrerebbe costruire un nuovo sistema di fiducia tra gli attori coinvolti che determini una delega “serena” e “aperta” delle rispettive funzioni. Nei nascenti patti di collaborazione la fiducia è il centro del processo ed è l’aspetto che NON può essere normato o pianificato a tavolino, ma è necessario costruire con un’azione vera e fattiva sui territori, in cui i rapporti tra gli attori siano sempre più orizzontali e trasparenti, il che non significa che debbano diventare sistemi democratici “autoincartanti” ma che abbiano per ciascuna funzione figure di coordinamento e negoziazione riconoscibili e riconosciute, dunque innanzitutto competenti.
Il documento è di grande interesse per la materia delicatissima trattata e perchè va oltre la semplice elencazione di principi. Naturalmente è ancora lontano da una base minima di operatività. Si tratta di implementarlo o proseguirlo con precisi elementi progettuali non necessariamente esecutivi riferiti ad un luogo specifico, ma di facile interpretazione per i cittadini cui è diretto. Credo che la presentazione vada fatta con un processo autonomo e supportata dalle istituzioni più importanti.
Grazie Roberto. In realtà tutto quello che scriviamo deriva dall’operatività, e dall’apprendimento che deriva dalle complessità anche molto concrete e molto operative. L’obiettivo del documento è proprio quello di mettere a disposizione anche di altri quello che abbiamo imparato dalle nostre progettualità concrete (Le Serre dei Giardini a Bologna, Barra A, BASE e Mercato Lorenteggio a Milano, Via Baltea 3 a Torino, ecc.) e di trasformare delle esperienze contrete in modelli su cui costruire delle riflessioni nazionali,
dal 2016
Community Hub
Avanzi, Kilowatt, SuMisura
Italia